La leggenda di Capripede e Ripedia

Questa è la storia di un Fauno che si invaghisce di una Ninfa e di un’antica abbazia costruita sopra una profondissima grotta

Tutto ha inizio ai piedi del monte Raparo in provincia di Potenza, un luogo ancora oggi poco accessibile e raggiungibile. Qui c’è una fitta foresta, una fresca sorgente d’acqua ed una gigantesca grotta. Questo luogo era ideale per i monaci Basiliani che intorno all’anno 1000 scappavano dalle persecuzioni dei Musulmani.

NINFAFAUNO
La Ninfa è una divinità legata alla natura protettrice delle acque, delle sorgenti e delle fonti. Sono bellissime e giovani donne, dalle movenze graziose e sensuali.Il Fauno: è un essere mitologico con corpo virile in forma umana, orecchie a punta, corna e piedi caprini. E’ protettore dei campi e dei greggi e dei boschi.
Un Fauno e una ninfa - Rappresentazione
Una Ninfa e un Fauno – Rappresentazione

La leggenda di Capripede e Ripedia

In questa cornice tra foreste, grotte e preghiere, nasce la nostra leggenda: quella di “Capripede e Ripedia”. Diversamente da quanto accade altrove, questa leggenda non ci viene raccontata da un vecchietto o da un abitante del posto, ma bensì da una antichissima penna nobile. Stiamo parlando del poeta umanista Giovanni Pontano, detto Gioviano che nella sua operaMeteororum Liber ci narra di questa storia d’amore raccolta proprio in quel luogo durante il suo passaggio in queste terre.

Nella sezione download puoi scaricare il PDF delle pagine del libro.

Il Gioviano inizia la nostra leggenda in questo modo:

“Rabbrividisco per la storia della grotta nel bosco in Lucania  – dove si possono udire gemiti di oracoli afflitti, – provenire da un lungo e mostruoso baratro.

Vicino alla grotta, dove oggi sorge l’Abbazia di Sant’Angelo c’è una bellissima sorgente che alimenta insieme ad altri piccoli affluenti il torrente “Trigella”. In questo luogo, racconta il Gioviano, viveva un fauno di nome Capripede che dimorava nella verde foresta circostante.

La natura intorno

Capripede, un giorno scorge Ripenia, con i suoi dolci lineamenti di ninfa, intenta a lavarsi e rinfrescarsi la lunga chioma dorata nelle acque nel torrente. Il fauno rimane folgorato dalla sua bellezza! Da quella occasione, il fauno ogni giorno si reca silenziosamente al torrente per cercare d’intravedere nuovamente la bella ninfa.

“È un incanto di colori ed etere, il luccichio dei lunghi capelli chiari adagiati dolcemente sulle spalle” scrive R. Rinaldi.

Capripede, se ne innamora, ma la ninfa, però, ogni volta che lui cerca di avvicinarsi,  fugge via dal fauno schernendolo e prendendolo in giro. Un giorno, stanca della presenza del fauno, Ripenia, gli gridò: “non sarò mai tua. Questa è l’ultima volta che mi vedrai! ”
Scappò poi via sul sentiero verso la grotta dove, tuffandosi nelle acque della sorgente, scomparve definitivamente. Questo rifiuto provocò le ire del fauno, che invano cerca di raggiungerla e acciuffarla. Il rifiuto della ninfa fu molto doloroso al punto che egli lanciò una maledizione alle acque care alla ninfa:

Maledetto sia il giorno del mio afflato d’amore, s’io non sappia intrappolarti, accarezzarti i capelli, stringere le pieghe delle tue vesti leggiadre! …”

Toccando poi le acque del fiume sentenziò ancora:

“Tremate pastori per i greggi che conducete alla fonte! Quest’acqua sia maledetta a causa del mancato amore di Ripenia e sia privata del suo alimento nel verno, così che anche gli uomini possano non ascoltarne il dolce scrosciare”.

Per effetto delle parole del fauno le acque del torrente Trigella iniziarono a intorpidirsi e assunsero un aspetto sinistro.  Con questa sentenza, le acque del fiume divennero letali e nessun animale, una volta bevuto, sarebbe sopravvissuto.  Il fiume inoltre per effetto della maledizione, smise anche di scorrere durante l’inverno.

Oltre la leggenda

Il Gioviano motiva così questo anomalo avvelenamento delle acque del torrente Trigella avvenuto intorno al 1500 proprio nel periodo in cui lo scrittore era di passaggio da quelle zone della Basilicata.

La storia invece ci parla di uno strano stravolgimento. L’acqua del torrente, a un tratto, entra in una roccia e invece che proseguire nel suo percorso naturale, scompare sotto terra per poi riaffiorare centinaia di metri più a valle.
Questo fenomeno della scomparsa “momentanea” delle acque può essere spiegato dal “carsismo”. L’acqua, con il passare del tempo, corrode la parte superiore di uno strato di roccia calcarea, creando  buche o inghiottitoi naturali e generando dei veri e propri laghi sotterranei che poi  troveranno “sfogo” più a valle. La fisica poi aiuta a capire come l’acqua possa risalire in superficie in modo naturale grazie alla “teoria dei sifoni ” ovvero il correre un liquido verso l’alto anche contro la forza di gravità e senza l’intervento di pompe idrauliche.

Le antiche popolazioni lucane sapevano che l’acqua – a volte – scompare e fa percorsi sotterranei, ma la cosa che li sconvolse fu che le tutte le bestie che si abbeveravano a questa fonte morissero quasi istantaneamente. Per i pastori lucani la perdita d’interi greggi di pecore o capre rappresentò una vera tragedia, poiché al tempo, si viveva di quel poco che si riusciva a coltivare e produrre.

Ma il mistero della grotta e la sua sorgente,  intorno all’anno 1500,  fu visto come uno oscuro presagio.

La profondissima e oscura caverna

Intorno all’anno 990 anche San Vitale, santo monaco capace di grandi miracoli, tallonato dai Saraceni trova finalmente pace nascondendosi proprio in questa grotta.
Con il tempo i monaci, sotto la sua guida, cercarono di rendere più confortevole la caverna, costruendo delle celle all’ingresso e pavimentando – con grandi pietre – l’ingresso della grotta. Scavarono nella roccia anche centinaia di scalini che portano giù, nella parte più profonda. Ma, vista l’incredibile profondità della grotta, decisero di costruire delle pesanti mura, in modo da sigillare la parte inferiore, affinché nessuno potesse avventurarsi in quelle oscure profondità, da dove provenivano inquietanti rumori forse creati dalle acque sotterranee o chissà da cos’altro.
Nel corso dei secoli venne poi edificata, sopra questa apertura, la prima parte di una chiesa, poi una torre e poi altre celle e altri edifici che per più di mille anni hanno resistito a terremoti e altri infausti eventi.

L’abbazia oggi

Mi sono recato recentemente all’Abbazia di Sant’Angelo al Monte Raparo dopo aver letto di questa antica grotta e della leggenda del fauno e della ninfa. Ancora oggi è poco raggiungibile, immaginiamoci nel 1500. Questo isolamento giova naturalmente all’aura del luogo, il silenzio qui regna sovrano. I lavori di ristrutturazione dell’Abbazia sono ancora in corso e la chiesa è chiusa. Ma anche entrandoci non troverete comunque niente perché tutti gli arredi sono stati spostati nella chiesa madre in paese: a San Chirico Raparo. Una fortuna perché l’Abbazia è praticamente collassata a causa di smottamenti ed eventi sismici.
Da alcune foto scattate intorno agli anni ’20, l’Abbazia è stata ricostruita seguendo il disegno originale e restituendo all’edificio l’originale splendore.
Anche oggi il torrente Trigella, scompare nelle profondità della terra e riappare qualche centinaio di metri più sotto dove incontra altri affluenti. 

La grotta

La grotta è la cosa che più mi ha impressionato di questo luogo. Profonda, nera, inquietante.
L’ingresso alla grotta è bloccato da una pesante grata metallica – per fortuna aggiungerei –  perché al suo interno oggi vive una delle colonie di pipistrelli più numerosa d’Europa.  Vi assicuro che quei pipistrelli sono giganteschi.  Mai visti  grandi così. Basta avvicinarsi alla grata per poter ascoltare un rumore incredibile di ali e chissà cos’altro.  Se andate lì, e siete abbastanza fortunati, sicuramente qualche nuovo amico pipistrello vi verrà a salutare e a dare il benvenuto.
Ho i brividi solo a pensare  cosa potrebbe accadere di notte avvicinandosi alla grata.

Spero che quella pesante grata metallica non venga mai aperta.
Ho paura solo a pensare cosa potrebbe uscire da quelle oscure profondità.

È stato pubblicato un libro illustrato con fotografie della grotta di nome: “MERAVIGLIE NASCOSTE“!
questo è il link al nostro articolo.

Roberto

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Sian pur meravigliose le leggende, vere il poeta con arte le rende. -- GOETHE
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