La lamentazione funebre

In Calabria le chiamano le chiangitare, in Molise le repute, in Sardegna le attitadoras, mentre nel nord Italia invece le piagnone.
Sono le lamentatrici ed erano generalmente donne vestite a lutto che – in cambio di denaro – piangevano e si disperavano per la perdita di un defunto, spesso sconosciuto.

Scopriamo qualcosa in più sulle lamentazioni funebri.

Perché ricorrere alle lamentatrici?

Le origini del rito della lamentazione funebre si perdono nel tempo. Dall’Antico Egitto, alla Magna Grecia fino all’Antica Roma. L’usanza dei sacri “lynos” delle prefiche nei funerali si è tramandata nei secoli anche in tutta Italia.

La risposta alla domanda arriva dalla Grecia antica.
Il senso del decoro imponeva infatti alle ricche famiglie greche un atteggiamento sobrio (meden agan – niente in maniera esagerata) perché, il controllo di sé, anche in situazioni “dolorose“, era percepito come testimonianza di forza interiore. Durante la veglia funebre la famiglia e cari del defunto rimanevano defilati in disparte in un composto silenzio, mentre le “lamentatrici” piangevano e fingevano dolore.

La disperazione e le lacrime delle lamentatrici erano indispensabili poiché la morte – altrimenti poco soddisfatta – avrebbe potuto prendere qualche altra anima oppure lasciare lì l’anima del defunto. Era un modo per esorcizzare la paura che accadesse qualcosa di ancor più terribile.

Non per il dolore della perdita del defunto ma per allontanare la morte che, vedendo quelle donne disperarsi e piangere, si riteneva soddisfatta e andava altrove trascinandosi dietro l’anima del morto.

Spesso si usava anche bruciare i vestiti del morto (ai quali la morte ci si poteva aggrappare) o dall’usanza di tenere aperte tutte le porte e finestre durante il lutto.

In Basilicata

In Basilicata questo rito è sopravvissuto per molto più tempo rispetto al resto delle regioni italiane. Ogni paese lucano aveva il suo modo particolare di lamentare i propri defunti. Le prefiche spesso accompagnavano la salma con canti e preghiere disperate facendo ampi movimenti ripetitivi con il corpo e lanciando acutissimi stridi scuotevano i presenti, spesso si strappavano addirittura i capelli e buttavano le ciocche rimaste tra le dita sulla bara.

Le lamentazioni avevano uno ritmo ripetitivo quasi ipnotico, ed erano accompagnate da una particolare l’oscillazione ritmata del corpo. Sovente queste donne usavano percuotere con le palme la bara e il petto, tra urla e singhiozzi. Un rito molto simile a quello orientale (forse di conseguenza alle varie dominazioni arabe nella nostra regione) come notato dall’antropologo De Martino nel suo libro.

Più riuscivano a suscitare commozione, più i parenti del defunto donavano loro grano, vino e olio.

Nel tempo le lamentatrici, non venivano neanche più pagate” ma agivano come forma di partecipazione collettiva al lutto o in segno di rispetto alla famiglia.

Il Documentario “Magia Lucana”

Famosa la lamentazione filmata tra i calanchi della Basilicata nel 1958 da Luigi di Gianni. La scena viene inserita nel documentario “Magia Lucana” e raccoglie la testimonianza visiva di una lamentazione funebre. Nel documentario si può vedere la pratica della lamentazione funebre: la famiglia ferma in composto silenzio sullo sfondo mentre intorno alla bara del defunto le prefiche si muovono e recitano le preghiere ipnotiche in modo ossessivo-ripetitivo. Da notare anche gli ampi e ripetuti gesti con il fazzoletti bianchi come per scacciare, togliere qualcosa intorno alla bara. Questo continuo percuotere (“bussare” ) il feretro veniva compiuto per scuotere l’anima del defunto a proseguire il suo cammino di morte.

Da notare come la giovane moglie del defunto rimane immobile a contemplare tutta la scena di commiato delle lamentatrici, come se quel lutto, quel dolore non le appartenesse.

L’audio originale del video però è registrato qualche anno prima dall’antropologo Ernesto De Martino e Diego Carpitella, e inserito successivamente sulle immagini registrate da Di Gianni.

Questo è un estratto del video visibile sul sito RAI:
Magia lucana – 1958 –
https://www.teche.rai.it/1984/03/magia-lucana-un-documentario-di-luigi-di-gianni/

Ma cosa accadeva se la lamentazione funebre non veniva fatta correttamente?

Sempre dalla trasmissione radio del 1969 – Magia e società. Riti e sopravvivenze nella tradizione popolare italiana,  possiamo ascoltare questa testimonianza raccolta nel comune lucano di Roccanova (Potenza).
La protagonista – Carminella Pugliese detta “la sonnambula” – racconta cosa le è accaduta durante la notte:

Trasmissione radio del 1969 – Magia e società. Riti e sopravvivenze nella tradizione popolare italiana

Altre testimonianze

Abbastanza famosa è anche la trasmissione radiofonica andata in onda il 10 giugno 1969: “Magia e società. Riti e sopravvivenze nella tradizione popolare italiana”, curato da Girolamo Mancuso e da Franco Scaglia.
In questa trasmissione, l’inviato riesce a raccogliere non senza difficoltà una testimonianza audio di una lamentazione di una giovane contadina di Ferrandina. Come viene narrato all’inizio, la contadina, si rifiuta di registrare la “finta lamentazione” perché porta male a chi assiste e al luogo dove viene recitata. Ma alla fine riescono a convincere la ragazza e a registrare su nastro una delle lamentazioni in uso a quell’epoca.

Ho da subito notato che canto di questa giovane contadina ha una sorta di assonanza melodica a scale musicali provenienti dall’estremo oriente. La dominazione araba, perpetrata per diversi anni, ha sicuramente lasciato tracce indelebili nella nostra cultura. Tracce nei comportamenti e nella lingua che con il tempo si sono integrate e unite a quelle della nostra tradizione.

https://www.teche.rai.it/2014/11/archivio-del-folclore-musicale-italiano-basilicata/

Lamento Funebre, per 2 voci femminili   (3:05)
Registrazione: 10/10/1952. Luogo: Pisticci – Matera – Basilicata

Considerazioni

In Basilicata questa pratica è riuscita sopravvivere più a lungo che altrove, conservando un ricordo di tali primitivi cerimoniali. Il lamento funebre lucano e in particolare la “lamentazione professionale” è una pratica oramai estinta con il secolo scorso.

È rimasta però una sorta di memoria storica di questo rito, infatti molte persone in uscita da un funerale non tornano “dritto a casa” ma fa una passeggiata o entra in un luogo pubblico per non trascinarsi dietro “la dama nera” nella propria abitazione. Una sorta di distrazione, sperando che lei giri lo sguardo e si posi altrove.

E voi che ne pensate?
In uscita da un funerale, tornerete adesso direttamente a casa?

Fatemi sapere

Roberto Lacava

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Sian pur meravigliose le leggende, vere il poeta con arte le rende. -- GOETHE
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